Parole a grappoli come fogli di carta al vento
si infrangono su pareti di pietra lavica
grigia scura come il cielo di novembre.
Sussurri di anime inquiete cercano riparo
negli interstizi affollati di cuori solitari
resi opachi da intense solitudini.
Tazzine di caffè e sorrisi angelici di bimbi
illuminano come d'incanto giornate
tutte uguali tra noia e disincanto.
Foto di vacanze su spiagge assolate
riempiono pagine di vita palpitante
che presto svanisce come neve al sole.
Luoghi ameni invogliano alla fuga,
canzoni su canzoni in un delirio di note ininterrotte
seppelliscono la voglia di ascoltare.
Giochini senza senso invadono
menti infantili ansiose di rifugi
in mondi di fiabe e oniriche realtà.
Rabbie represse esplodono con forza
come tappi di bottiglie di spumante
e la bile fuoriesce come schiuma fermentata.
Subentra all'improvviso un dubbio prepotente:
nell'incessante, vorticosa overdose di immagini e parole
abbiamo perso il filo della nostra identità,
e vaghiamo come naufraghi in cerca di un approdo
per dare un luogo certo ai nostri luoghi
e un tempo scandito ai nostri tempi,
dimenticando che il tempo fugge via senza scampo
lasciandoci dentro l'illusione di esser sempiterni
e l'incrollabile fede nella nostra onnipotenza.
E il potere gongola nella sua avidità e smania di ricchezze;
meglio la colorata piazza virtuale delle palpitanti piazze vere,
meglio migliaia di "vai a cacare" che un solo pugno nello stomaco.