Piazzale Loreto di Milano
da viale Abruzzi non lontano
fa di sé nella vetrina bella mostra
ancora di fango ricoperta
la Legnano color giallo
dal grande Gino quell'anno
cavalcata nel domare qual
prode vittorioso di Francia
le ostili strade tra Alpi
Pirenei fino a Parigi,
vittoria assai pure propizia
che dalle piazze d'Italia
anco tolse la tensione dopo a
Togliatti il capo comunista
da un esaltato l'attentato vile.
A guardare la bella bicicletta
in quel momento accanto a me
bambino di ott'anni allegro
estasiato pure due ragazzotti
col tram venuti dal contado
non so se da Vaprio d'Adda
o dalla più vicina Crescenzago.
All'altro dice l'uno "cun chela
bici lì sicur vincevi anca mi".
Un burbero e anzian signore
che per caso di lì passava
udendo del ragazzo le parole
in modo brusco serio
nel dialetto stesso suo
così disse e s'intromise "
pisquano alter che bici,
per vincc che voerenn i garunn"
L'altro ragazzo di rimando
al primo già di per sè mogio
nel vivo colpito ed avvilito
la dose poi per di più rincara
"te capì sufela che la gent
a la ta rida a dreè...
che voerenn i garunn"
Come bastonato cane
quello di corsa se ne andò,
non so se piangendo o meno,
allora ricordo io sorrisi,
oggi non più bambino
ma vecchio dalla vita
ammaestrato non riderei:
"Perché i sogni dolci nostri
le illusioni ingenue care
della giovinezza irridere
infranger con durezza
alla realtà richiamare
con greve ironia e lo sberleffo?