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Inno a Nisyros perla del greco mar
Allegro, spensierato fu l'inizio e bello
di quel giorno a Nisyros splendida
tra quell'isole greche che con Kos,
Samos, Kalymnos, Samiapula
e lor sorelle punteggia lieve
il greco mar al cantor di Zacinto caro:
profumi non persi di un mondo antico,
richiami forti di una civiltà unica del passato:
Esiodo, Platone, Omero, Epicarmo,
Ippocrate, Solone, Alceo, Saffo e così via.
Subito giù verso il fondo del cratere
pronti senza fatica e lestamente
la fin di quel tondo vaso raggiungemmo,
di quella bocca muta e semispenta,
sacra vision un tempo, quando
di fiamme vive, di fuoco ardente,
di boati e gemiti si nutriva, per le ingenue genti
richiamo temuto a divine e mitologiche figure.
Del dio Vulcano qual fucina ardente,
lui e Ciclopi chini e operosi a lavorar metalli,
così cantavano e cantano ancor i versi
dei cantor antichi a noi noti e sì cari.
Nel silenzio ci accolse l'ampia distesa
fatta da cristallina e fine terra dal sapor
aspro e dal bianco e bianco-cinereo aspetto,
fumigante e bruciante sotto i piedi
per il nascente zolfo e gas sulfurei
ultimo e lento respirar a fatica
e quasi agonizzante di quello
un tempo fuoco vivo e tonante.
E lì, come estasiati, ilari, dimentichi
degli affanni del tempo quotidiano
come non ripensar ad altri tempi
a quando ribolliva il magma ardente
al crepitar delle fiamme, ai rumori funesti,
al timor della gente, alle loro ansie
al presagio forse di una cattiva sorte.
E questo poi un tempo avvenne!
Altro era di Nisyros l'aspetto...
Spenta sotto il fuoco e la grigia cenere
una antica vita: miti pastori,
argonauti, poeti e pensatori.
Ricordi così pensavamo allora
alla caducità del tempo e delle cose.
A distoglierci da questi filosofici pensieri
e dall'errar della mente in altri sogni
ci pensò poi la salita che ci tolse la vista,
fece scoppiare il cuore, ci asciugò
la bocca, ci svuotò i polmoni
ci annebbiò i pensieri fuorché uno:
cercare vivi o morti di risalir la china.
Stanchi per la faticosa risalita,
come non ricordar amica mia quel carrubo
che alla casa bianca abbandonata
faceva solitaria e struggente compagnia.
Casa e carrubo ci accolsero in silenzio, muti:
gli antistanti gradini di cemento
sbriciolato e salso ci offrì quella
qual gradito scanno seppur duro di riposo,
qual tremolante ed incerto per le rade
foglie mosse dal vento filtro al sole dell'Egeo
che con il vulcano le resistenze del cuor,
dell'animo aveva se non distrutte ben fiaccate
donò l'altro: frescura dolce agli accaldati corpi.
Contraria e nemica stava l'ombra che sul viottolo
la casa proiettava: occhi spenti le finestre
marcescenti come il marcescente legno
della porta, a penzoloni la serratura
non metallo lucido ma ruggine ferrigna.
Poco lontano sbatteva lentamente
contro il consunto palo di chiusura
un piccolo cancello dentato, a terra
i frammenti lignei dei suoi denti,
non più ritti ma storti i rimanenti,
disarmata sentinella ad un orto
un tempo e qui fitta sterpaglia,
disseccate erbe, qualche raro cardo.
La languente stanchezza, il silenzio,
il sussurro del mare da lontano,
nuovamente ci portarono poi a filosofare
sulla caducità della vita delle cose,
a meditare. A rafforzare i pensieri nostri
già in moto ci pensò un gatto grigio, furtivo
solitario che passò veloce tra le erbe arse
e quasi ci sfiorò, ci pensò pure il danzare tortuoso
sui tormentati muri della casa di una
lucertolina dal manto giallo verde che poi sparì
veloce infilandosi ratta tra le crepe.
Unici segni di vita in quel momento
e in quel luogo assieme a quel carrubo
ma fisso senza movimenti se non le foglie
impedito pure da tempo per le mancate cure
di toccar più alto il sovrastante cielo,
carrube ai piedi secche, spaccate, morti
i fuoriuscenti semi ma non morte e di vita segno
poche carrube vive e acerbe che con sofferenza
dai suoi rami si alimentavano togliendo
a questi ed al tronco una poca debole sostanza.
Quali i pensieri di quel vecchio gatto?
Dove era finita la lucertolina giallo verde?
Quali i legami e le memorie con chi un
tempo lì vi abitava e poi migrato lontano
forse a cercar fortuna? Si sarebbero un giorno
ritrovati, quali la sorte qual destino?
Erano ancora vivi o morti e la fortuna
li aveva poi baciati? E della casa, dell'orto
di quel carrubo che ne sarebbe stato?
Pensieri tra noi espressi e non, in libertà e fantasia.
Scendeva la sera, la barca alla spiaggia
ci attendeva: uno sguardo alla casa
ed al carrubo e quattro carrube colte per ricordo!
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1 recensioni:
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- Condiviso ed apprezzato al massimo questo tuo poema.
- veramente lodevole, mi complimento, un bel poema
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