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Il Terminillo
La quinta che da sempre,
in mattini di speranza
e pomeriggi mistici,
di sole ed aria tersa,
maestosa giace a me.
Maestosa la muraglia,
fredda e bruna,
gelida e argentea,
tiepida e verde,
coronata d'esso.
Serpentino bastione
di calcari bigi
carichi di niveo bagliore,
poi brinati di verde,
poi d'estate arrugginiti.
Le aurore d'ocra e rame
il guardiano nero
sagomano in silenzio.
Più tardi il sole desto
tinge in strali dorati
i suoi crinali di velluto.
Un'unica, coesa
coltre di faggi
di verde austero
tinge la muraglia.
In giorni grigi
l'alta coltre plumbea
fa del guardiano
la scura cerniera
della valle piangente.
L'implacabile estate
vela di pesante foschia
il massiccio indomito,
che poi, nella tenebra,
riversa generoso
il refrigerio d'altura
nel pedemonte riarso.
Dalla febbre annuale
è il mio rifugio,
ond'io vengo a lui,
a goder, nell'aria lieve,
la vista delle valli
soffocate d'afa.
Fai spesso da rampa
a correnti calde
per gonfiare le nubi
e donare burrasche
alla valle assettata.
Il silenzio dalla vetta
regna regale
sul diurno nitore
della penisola;
per chi, in solitaria
la vuol contemplare.
Non nel babelico fondovalle
ma nel mare frondoso
della verde Vallonina
in cui immergermi vorrei;
librarmi come rapace
nel vuoto inumano
della natura più arcana.
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