Fra le messi bionde già pronte ad esser colte,
mosse da un vento caldo d'estate che aumentava
l'arsura delle nostre gole, combattemmo fino a sera
contro forze soverchianti e professioniste della guerra.
I più fortunati di noi caddero con il gladio in mano,
raggiunsero la libertà che tanto avevamo agognato.
E quando il sole al tramonto arrossò di più la piana
insanguinata i pochi rimasti erano talmente stremati
che non riuscirono nemmeno a trafiggere se stessi.
In catene fummo portati all'Urbe e prima d'entrarvi
il supplizio ci fu assegnato: una lunga fila di croci
segnò la nostra fine e quella del nostro anelito.
Dall'alto, fra lo strazio delle carni dilaniate, la vista
già offuscata dalla morte incipiente, guardo voi
che passate ed un occhiata furtiva ci lanciate.
Ancora poco e per noi sarà la libertà: tenebre
si affacceranno all'intorno e Caronte ci porterà
ove tutti eguali sono, nel regno della pace.
Non invidio voi che accelerate il passo,
schiavi delle convenzioni, oppressi dal timore
di perdere quella che credete la libertà ed
invece è la dorata prigione del vostro essere,
la rinuncia alla vostra innata personalità.
Già incombe il buio della notte e nel silenzio
s'odono le parole strozzate di noi morenti
che si spengono con un unico terrificante grido:
" Ecco la libertà".