Davanti al vano della porta
per anni ed anni
sulla stessa sedia in via di Mezzo,
posava le fatiche della vita un vecchio.
Nella fissità del suo sguardo
s’appannava il presente
e bisbigli
echi di tempi passati,
di ciò che fu
danzavano muti al cospetto dei suoi occhi.
Quante passioni gli aveva dato in dono
il tempo andato,
quanti i dolori
sulle curve spalle
e le celie del destino
erano tutte lì
a corrugargli la fronte,
a solcargli la pelle.
Ricordava e ricordava ancora
nel silenzio dei pomeriggi d’autunno
di quando era giovane e bello
di feste allietate dai canti,
di cori d’alpini,
e i volti e le voci d’un tempo
parevano vive, reali
nel ruvido scrigno delle sue mani.
Quante primavere
avevano mutato in cattedrali vestite di colori
le dolci campagne del Friuli?
Era ora di vendemmiare,
le ceste erano colmate
ed il gaio corteo di carri
percorreva la campagna tra i filari
mentre gialle foglie vagabonde,
turbinavano al vento.
Inesorabile era il tramonto
che infuocava l’arco del cielo
e mentre la sua vita si faceva
debole fiammella
guardava assorto
la prima stella
che trapuntava l’infinito della sera.
La sedia ormai è vuota
e vuoto è quell’angolo di paese
in Via di Mezzo,
ma quando vi passo
mi pare di scorgere ancora
la fissità dello sguardo
d’un vecchio.