Accadde nel delirio d'una notte:
un ladro le sue azioni bieche vide
da una lattante in lacrime interrotte.
Si spense inutilmente gracil vita,
sul collo rozza stretta di chi uccide,
e fu Natura stessa inviperita.
Urlarono le stelle; il cielo tutto
soffriva d'una cosmica ferita.
S'accorse nella tenebra contratta
il tessitor del ciclo d'ogni cosa,
che ardeva in Terra disumano lutto
e subito la tela fu disfatta.
Il dì seguente oziava l'assassino
nei vicoli di laide e umide pene,
la mente tra il rimorso e le catene.
Fu lì che, infine, ombra celeste apparve:
si vide innanzi, il bruto, bimba adulta,
di tutto l'universo dolce sposa.
Luceano come splendidi monili
quegli occhi, e lo fissavano gentili.
Il ladro agonizzò di colpa occulta:
capì che il corpicino striminzito
da lui spezzato, un dì futuro avrebbe
con sua bellezza il mondo ammutolito.
Si disperò il brigante e pianse prono,
l'orror scolpito sulla faccia stinta.
Cantò lo spirto nobili carezze
e l'uomo che l'uccise ebbe perdono.
Ma lui impazzì e sua gola venne cinta
dalle sue mani stesse, all'atto avvezze.
Lo prese fra le braccia la fanciulla,
calmandolo, e pensò alla loro sorte
cangiata da un vagito in una culla.
Il ladro la fissò un'ultima volta
e diede il primo colpo, nella morte,
suo cuor, e l'aspra pena fu dissolta.