La figlia dell'Erebo e della Notte,
lieta e satolla, alle dieci della sera,
alata, le ossa avvolte in veste nera,
sparsa di stelle, non più dirà stanotte
al Sonno, german di lei e dei sogni padre,
che una donna, la mia santa madre,
veda più il Sole o il chiar di Luna:
alle dieci della sera un velo il viso imbruna.
Il tuo silenzio or mi brucia il cuore,
il tuo odore, madre, s'effonde nella stanza
e le pareti, silenti, grondano sudore,
testimoni a forza d'amara rimembranza.
Il colpo altre volte la Falce avea sferrato,
ma il suo occhio deviò la giusta mira,
così la nera donna dal capo ammantato
fuggì col viso smunto, pregno d'ira.
Ormai hai vinto, o Dea del mondo certo!
Dorme mia madre nel Sonno senza fine
e va tra i Sogni dal responso incerto,
dove gli orizzonti non hanno più confine.
Ormai è finita! Contemplo il tuo bel viso,
che l'eterna morte non ha trasfigurato.
Ormai è finita! Mischio lacrime e sorriso,
così mi spinge a fare il tristo Fato.
Ormai è finita, o madre mia!
Dormi, riposa e sogna con Morféo,
Fantàsio e Fobétore nell'eterno gineceo,
mentr'io, triste, ti canto l'elegìa.
La tua grazia, o madre, io canto,
la tua tristezza e la tua allegria,
la tua sobria eleganza era un incanto,
ti abbigliavi sempre e in armonia.
Una grande eredità tu mi hai lasciato:
il saper vivere con immenso amore,
rispettar la dignità di chi sta a lato
e dire tutto ciò che sente il cuore.
Più tardi ti porteremo al cimitero,
la dura pietra serrerà il tuo avello
ed una foto raffigurerà il tuo volto;
io piangerò ed accenderò un cero,
poi, affranto, chiuderò il cancello,
ma lascerò il mio cuore lì sepolto.
Felice colui che dolor di madre
non prova quand'ella si diparte.
Le tre Parche son funeste ladre,
ché rubano gli affetti a loro arte.