Odorano le gabbie e odora l'erba
di fremito di liberta
di ribellione istintuale
primitivo bagliore
a rimpiangere una terra
abissalmente lontana
da quel cuore che possediamo
pur non sapendolo chiamare cuore.
Guarda, bambino,
l'orgoglio intangibile e regale
della tigre che spaventa il vento
amorevole battito di felino
cui strapparono ignobilmente
radici e suoni indigeni.
Lo scorgi, laggiù,
il tuonare ancestrale del leone,
intrisa ha la criniera
di inafferrabile nostalgia,
ruggito possiede
che se ben saprai ascoltare
ti sembrerà poesia.
Ascolta il ribelle fruscio
del serpente a sonagli
che l'erba fende
pavoneggiandosi al sole,
sorridere puoi, devi
allo scanzonato dimenarsi
di macachi e scimpanzè
di cui forse un po'fratelli e parenti
fummo e siamo.
Il trillare sciabordante odi
delle anatre che baciano il laghetto,
inchinati alla maestà ricolma di bontà,
dell'elefante dalle poderose zanne.
Ti scorgerai allora soltanto
animale che in mille animali dimora
il loro cuore, come il tuo,
capace è di sentire
il canto inebriante dell'aurora.