Il tuo inedito
fu il piccone
che infranse
le mie muraglie.
Mi rivelasti l'arcano luogo
dove, non viste, sorgono colline
e s'inargenta, fragrante,
il rosmarino.
Paradiseo,
mi prestasti le tue ali
per il volo.
Pane per la mia fame
fu la tua poesia.
Alla mia sete
offristi acqua lustrale
dove, nascenti,
s'immergono i mattini.
Ma ora, perché non scrivi più?
Perchè non canti, poeta?
Gladio di sole
il tuo verso potente
può sciogliere la nebbia nelle valli,
ridisegnare il tratto del castelli.
Ti prego, scrivi ancora!
Perché l'urlo che al vento sottraesti
è rimasto imprigionato nella gola.
Pur se il tuo canto
non muta le stagioni
e non irriga i campi
minati dalla tisi,
tu, ugualmente, scrivi!
Dirigi dalle pagine
le voci di tutti i poeti
e il canto si tramuti in uragano,
che scuota le coscienze dal torpore,
si faccia tromba apocalittica
il tuo verso,
nerbo che segni con lividi la carne:
la poesia, si sa,
quando non urla,
Muore!