Lasciarsi manipolare,
tra i confini del viso
e i perimetri soavi delle labbra
è lama del vivere,
insidiosa ma seducente,
nuovo concerto di forme
a salire irriverenti prossime
sopra il cesello fedele della natura.
Vezzo di vanagloria sia,
o lacerante necessità,
corpo che più non si parla,
o accogliere non sa
il fatale abbraccio
dell'ingigantita, accresciuta età,
è il laccio stritolante
di questa rincorsa alla dea del sembrare
pellegrinaggio del manifesto
che a rendersi latente anela
per sonnecchiare per sempre
sotto il carcere di seni irrobustiti,
o nasi più appuntiti.
Geme impotente l'anima,
lacrimante ostaggio
d'una corporeità non più sua
ebbro è lo specchio di casa,
dell'ombra di un'identità ormai smarrita.
Che ne resta
una foto sul diario soltanto
che profuma di adolescenza inquieta
ritagli di urlanti rotocalchi
su cui galleggiano fisicità ormai svergognate
da chirurgie ribollenti
avvinte tra le spire della routine,
essere
per essersi rinnegati di essere.
Ma una domanda cessare non sa
di farsi processione di martellanti lapilli
dal vulcano inesausto della memoria:
quanto valer potrà
pervertire il proprio corpo
se il tramonto segnerà
dell'essenza autentica
della propria luccicante,
inimitabile, preziosa,
insuperabile storia?