Non so perché l'odioso sacrificio
già non t'uccise né t'accende rabbia:
a smuover tua beltà con l'artificio,
o Terra, è l'uom che al piede sulla sabbia
prepone odiernamente lo stivale
su metallo e cemento. Non è colpa
tua, beninteso, ma di chi è venale
come scorzoso frutto senza polpa.
Un altro schianto, un rogo e ancor più sola
or sei: quante speranze mal riposte
nel figlio tuo che grida a squarciagola
una domanda sorda alle risposte!
Cresciamo e va sprecato questo dono
per cui tanto ti spendi; a volte cedi,
ma più dei sismi, più di qualche tuono
c'illumina il tesoro che possiedi:
son le chiome solari dell'acacia,
l'erba selvaggia, il volo dell'upupa
graziosa e schiva. Nessun più ti bacia,
stanca bellezza ch'entro si fa cupa.