Smarrita ed esigua si scorge
la daga incuriosita del tuo sguardo
al cospetto del mio basaltico troneggiare.
Accolgon i tuoi sensi
a guisa di morbo inconsueto
gli echi del mio sbuffare inquieto.
Con unghie di fumo graffio l'urano
e con l'elevazione governo sulla città;
eccoli, i rifiuti che sono tuoi figli,
amico mio che di maledirmi talora ti compiaci,
in questo tuo geometrico produrre,
consumare e infin buttare,
triangolo dell'inestirpabile viaggio,
che sviluppo e progresso hai battezzato.
E sei lì,
che su me cuci con pensieri muti
cromature di diffidenza e di paura,
quando a urlar comincia davvero,
la voce della mia temperatura.
Urbani, speciali o ingombranti,
quelli con cui il mio ventre rigonfi
sono sempre distinti e tanti,
e io qui, a consolidar sempre più
il mio impersonal copione,
di ricevimento e di impietosa combustione.
In mille forme mi pensaste,
griglia, letto fluido, forno rotativo,
pattume mi dai in dono,
e qualche volta di esso son demiurgo,
per rendertelo in strenna di calore ed energia.
È allora che le tue labbra giocano
a rendermi persino un po' migliore
dandomi un nuovo vestito per nome
termovalorizzatore.
Esisto per ingoiare rusco,
amico mio, non mi giudicare in modo brusco,
programmato fui per annientare,
solo ciò di cui ti vuoi disfare.
E contro il mio interesse te lo dico,
impara e sviluppa l'arte del riciclo,
e da ciò che indifferente vuoi buttare
ricavar potrai, qualcosa da reimpiegare.