Una timida eppur maestosa lanterna
soffiandomi va nel cono più profondo
della mia anima soavemente pervasa,
della luce immortale
della Genova che culla di latte
fu e sarà di marinai e naviganti
delle iridi folgorate
che di timore e anelito a nuovi mondi
madide e fiere si scoprono.
Ricordare non so,
che inviolabile colore possedesse,
il giorno profumato di salsedine,
in cui fui respiro da madre commedia,
e padre dialetto.
Spettacoli che mi scelsero figlio,
e ch'io designai per padri,
accanto a cometa d'amore,
che carezzevole e discreta piovve,
nel mio cuore di orgoglioso recitante;
Rina, immortale amor mio,
che nel tuo essermi a fianco,
ridere con me, baciarmi,
a me donar sapesti
il fruscio del vero Dio,
ogni teatral creatura ritroveremo piena,
nella luna incastonata complice,
dell'urano della nostra Zena.
Guardali, appagati giacciono
in gioiosa attesa,
"Gildo Peragallo ingegnere"
"Pignasecca e Pignaverde"
"I manezzi pe majà na figgia"
asteroidi luminescenti di copioni,
che scorger ci fecero grandezza,
nel nostro volerci sempre
piccoli in umiltà.
E ora,
in quel piccolo sacello giaccio sereno,
del cimitero di Staglieno,
il mio ricordo spero brilli dentro i vostri visi,
spiriti indomiti che a nulla mai si sono arresi,
amatissimi concittadini genovesi.