Estasi di ruvidezza,
o anfiteatro di complice dolcezza,
voce mi fosti ancella e regina,
losanga di fiato
avvolgente
ora carezzevole, ora assassina.
Corde vocali a domar protese
i siluri di virtuosismi
studiati eppur inesplorati
del sottofondo di chitarre irriverenti,
spiagge di talento
che percorse fuoro,
fin oltre nove settimane e mezzo,
tormenti eccitati di ugola,
a corteggiare avvezzi,
la dama ardente del soul.
Qual fiero profeta fui,
ora lo so,
della propensione a fendere
lingue di neutro,
vergine silenzio,
ebbi forse a essere,
l'ondeggiare ispido e graffiante,
del canto di un'anima inesausta,
di palcoscenici
illuminati da schiocchi di luna,
o morfologie urlanti,
di luci artificiali,
testimoni ammantate d'arcano,
d'un canto che a riposare anela,
in anfratti di inviolabile memoria.