Qual multiforme umiliazione,
ermeneutica sfuggente,
d'una lacerazione conclamata,
è quel sentirsi decomporre l'anima,
sopravvivere ch'umilia il vivere,
sasso che a bersagliare si balocca,
sussurri di cielo deforme,
per cogliere il volto di chi recise,
l'anelito primitivo alla felicità.
Quanto feroce risuona il destarsi,
dal letto sogghignante,
di mai sopiti disinganni,
gorgheggi d'abulia inestirpabile,
che supini s'adagiano
fetidi e ammorbanti
sulla roccia ormai arsa
di un'anima che non vomita
petali di incontaminata speme.
Sol resta la scia d'un'improbabile salita,
tra labbra di nebbia trincerata,
nuotano prostrati i respiri,
nello Stige delle disillusioni rilucenti,
e i fili spinati
d'un'onnipervasiva paura,
a ragnatela intrecciandosi vanno,
nella nuvola di giorni
intollerabilmente uguali,
su cui cullandosi va,
la seduzione effervescente,
dell'eterno regnare del sonno.