S'un dizionario t'offrisse per dimora,
una pagina vergine e luccicante,
Milano mia,
chiamarti dovrebbero poesia,
estasi di ineffabil dono,
antro d'incanto multiforme,
ove le cose assai più son
di quanto sono.
Scintilla nel grembo d'ogni mattina,
il bacio di luce della Madonnina,
mentre cantano
ancestrali e inscalfibili
le guglie del Duomo,
e se gli occhi ben sai serrar,
ne senti la carezza del suono.
Milano mia,
che mai ho fatto
per meritar d'uscire dal tuo grembo,
matrona di soavi nascondigli,
che piano si rivelano,
tra i giochi idrici dei navigli,
Milano mia,
che mentre ti cammino e vivo,
città solo non sei
ma sublime fascio di preghiere,
smarrirmi mi è riscoprirmi,
tra lo scampanellare atavico dei tram,
e i cartelli luccicanti delle reclame.
Demiurga di moda mai banale
Venere d'un'arte che esala,
tra le policrome magie della pinacoteca di Brera,
e il teatro della Scala.
Ho ricolmo il cuore di storie narrate,
in un filo di tenue eppur robusta storia,
che da via Farini parte,
per giungere a Lambrate,
gioia è quel discreto gustarti,
a guisa di prelibata torta,
tra i cammei canori di Gaber e Jannacci,
e gl'incandescenti versi di Carlo Porta.
Sant'Ambrogio, Madonna delle Grazie,
il fruscio del verde dei Bastioni,
balsamo sono dei passi mai esausti,
con cui percorro via Manzoni.
Milano dama calcistica,
Milano monarca industriale.
Inter Mazzola e Milan Rivera,
vetrine scintillanti di via Dante,
e un profumo di seducente primavera.
Milano, gastronomica religione,
che s'insinua tra il riso allo zafferano,
e il bacio d'un panettone,
Milano resa immortale,
tra le tombe del cimitero Monumentale.
Ogni mia lacrima,
insubre amore mio,
diacronica misura è del mio venerarti,
certo intenso, seppure sia banale,
Milano,
ch'anche nelle più remote periferie,
rivestirti sai sempre,
del tepore d'un eterno Natale.