Timida sorgesti
nel grembo di Aquileia e Cividale,
che specchio avvolgente fuoro,
del tuo fulgor natale.
Giorni ti furono nefasti,
in cui si annidò spirito ostile,
ma la Crudel zolba grassa,
come nomaron la tua guerra civile,
mai il respiro ebbe a reciderti,
e neppure ti umiliò la terra infedele
che Gemona travolse
nel bagliore d'un giorno assassino,
anch'allora serbasti Udine,
lo spirito
inossidabile e bambino.
Fierezza si rinvengono
e umile ma laboriosa abbondanza
tra le labbra della casa della contadinanza
e guardansi nel tempo come amiche,
che mai a separarsi avranno,
la loggia del Lionello di dorata luce,
e san Giovanni la cui torre l'orologio serba.
Lo sguardo si apre
come assetato cancello
sulla magia della chiesa di Santa Maria del Castello,
così su san Pietro Martire,
culla di domenicana rimembranza,
o sulla carezza onnipresente e mai lontana,
delle mura della chiesa francescana.
Udine che sfoderi sicura
gli orgogli intonsi della tua cultura,
le porte dischiudi
di palazzo Bartolini,
che tempio è della più pura cultura.
Finchè l'occhio poi si diparte,
per ritrovarsi festante,
tra i gioielli di casa Cavazzini,
dimora che bacia la contemporanea arte.
E se un'estasi di verde amico desideri trovare,
parco del Cormor null'altro chiede,
che di lasciarsi abbracciare.
Udine rigogliosa,
ancor offri sulla tua immortale tavolozza,
l'icastica seduzione di ogni piazza,
Venerio ove troneggia,
della casata Savorgnan la fulgida memoria,
o Matteotti con il suo mercato.
Udine, favola di furlan profumo incastonata,
demiurga sei di piatti prelibati,
frico, brovada e musetto,
il ritratto ricamano
d'un pranzo perfetto,
Montasio formaggio austero,
e Merlot e Cabernet uvaggio nobile e sincero.