Destarsi in un freddo mattino
con la luce sul viso incerta,
i pallidi rai sul cuscino
annunciano un’aspra scoperta:
tra nuvole timido un nitido
orbe, ch’è di Sole lontano
parente; dai rami stecchiti
del pero è rigato, che mano
scheletrica sembrano al cielo.
La magnolia non perde foglia,
pur verde sovrana nel gelo,
degli alberi l’umile spoglia
ricopre di livida coltre.
E nei campi, i canti han smesso
le allegre cicale, e un vento oltre
la siepe sussurra sommesso.
Non più voli in cielo di rondini
e lor dolci gridi dai nidi:
migrarono presto per mondi
migliori, e foreste e altri lidi.
Ed è triste il cuore, scoprendo
ch’egli mai potrà avverse tempre
fuggir, e vedendo, e sentendo
che resta settembre, per sempre.