Gloria di florido esarcato,
ostensione di favola dolcemente bizantina,
Ravenna, un po' matrona ti scorgo
e un po'bambina.
Erompi fiera nei tuoi lidi caldeggianti,
soave e austera t'ergi,
di bagliori estasianti,
mosaici figli d'arte e fantasia,
e colori da cui sciaborda la poesia.
Culla fosti del respir morente,
del Romano Impero d'Occidente,
quando Odoacre capeggiò la sedizione,
che di Romolo Augustolo ancor bimbo
causò la deposizione.
Ravenna,
germoglio di diritto
che di nuovo rivestì quello romano,
dalle scintillanti pagine,
del Corpus Iuris Civilis
del prode Giustiniano,
le tue braccia accolgon oggi come ieri,
le mortali spoglie,
dell'immortal Dante Alighieri.
Di storici cammei disseminata è ogni tua via,
dai signori Da Polenta
a Galla Placidia,
paladina d'arte sgargiante e mai banale,
tra le forme del neoniano battistero,
e lo scalpitar di san Vitale.
E dir non si può della chiesa sant'Eufemia
ove concerto raggiante
d'antichi e sfolgoranti tappeti ancora regna.
Ravenna arcivescovil reggia,
sinfonia di intonsa religione
di cui le parole furon fieri confini,
dell'indimenticato cardinal Tonini.
Or s'adagia lo sguardo
su fantasmagorica seduzione,
delle robuste prische eredità
di rocca Brancaleone.
Ravenna
diadema di dolcezza
così antica eppur così nuova
dal quartiere d'Ammonite
a quel di Villanova.