Gemma di ardente granducato,
che intangibile perfezion di forme e arte
da un cirro di cristallo germogliasti,
scintillano i tuoi fasti
tra i respiri intonsi di quel giglio,
che padre ti fu, ma anco german e figlio.
Ondeggia sovrano
il prisco respiro fiesolano,
intarsio cui complice luna piena,
cucì la demiurgica nobiltà
di Medici e Lorena.
Paradiso di poesia ti serba l'Arno,
gaudioso paradiso zampillante ma anco inferno,
quando morso ebbe dalla maledizione,
di mutarsi da acqua cheta ad alluvione.
Florentia, diadema di inviolabili confini,
che l'iridi tracciaron,
di Etruschi e di Latini,
scenario di disfide in sangue intinte,
tra papale stormir di guelfi,
e urlar imperial di ghibellini.
Ma t'apri a pieno giorno
ordito di sempiterna stella
da santa Maria degli Angeli
a santa Maria Novella,
e svetti su tappeti di colori
ineffabili e fiabeschi,
di Masaccio, Paolo Uccello,
Ghirlandaio e Brunelleschi.
E là ove i quadri s'inventano poesia,
fiera ci meni
negli Uffizi scintillante galleria;
porgiti turista come fa fiume alla foce,
alle gaudenti campane di santa Croce,
finchè il tuo sguardo smarrito non sia,
tra le meraviglie di piazza della Signoria.
E poi che percorri Ponte Vecchio,
i tuoi occhi avvertirai leggeri e ancor più belli,
e di pennelli sentirai il frusciar,
del Raffaello e di Botticelli.
E a quant'altra prelibata acqua,
ci attende a poterci abbeverar
nel tuo dorato secchio,
di Giotto il fulgente campanile,
e il mormorio di palazzo Pitti
e ponte vecchio.
Odi il rimar maestoso
degli animi or felici or affranti,
di Dante, Lapo e Guido Cavalcanti
esplora quei tempi un po' ribelli
in cui la carezzevole virtus di fra Savonarola,
s'opponeva a quella del principesco Machiavelli.
Firenze cibo etereo sei
non sol in edifici e monumenti,
ma luccicare sai ardita,
anco su una tavola imbandita,
ove succulenti attendono
baccalà, castegnaccio e ribollita.
Firenze,
sogno che si fa canzone,
Firenze,
sentinella d'incomprimibile,
fatata suggestione.