Tocca lu celu la Montagna
Lei, assorta, la Montagna mi guarda
Quella che il vento
Tiene stretta ed abbraccia
Fatta di rocce
Puntute come lance
Pure le volpi l'attraversano guardinghe
La bellezza e la durezza messe assieme
Il mondo è racchiuso
In quelle balze
L'asprezza dell'inverno
La nebbia pietosa copre,
le mie viscere racchiuse
in quel vecchio feudo
ogni mio sorriso ed ogni lacrima
vi sono nate.
Vivo da tempo lontano da lei
Ma è il sangue delle mie vene
Riempie i miei pensieri;
vivranno ancora a lungo
dopo la mia morte,
è la mia giumenta
morella di manto dal carattere dolce
il muso che mi mordicchia
il suo puledro che gli trotta accanto
o che con furia gli strizza i capezzoli
la sua bella criniera ondeggiante nella corsa
il solco tracciato al galoppo
segno d'amore inciso
indelebile, su ogni sasso
la culla soffice di bambagia
dei mille fiori che la coprono
la primavera che le ingentilisce il volto
o la violenza del sangue
che macchia le zolle
gli agnelli sgozzati buttati a mucchio
e quegli occhi gelidi che puntano il cielo
delusi per quella morte inaspettata.
La sua cima non sfiora
Lo splendore del cielo,
Seduto sopra un masso
Lo vedo svolazzare
Il nibbio s'innalza leggero punta al cielo
Portandole dietro, porgendole a Dio
Le preghiere più belle
La serenità del pentimento.
Negli stretti viottoli
Ricalco orme antiche di pastori
Vissuti come antichi guerrieri
E di animali
Che cacciano o sfuggono la morte;
corrono, si perdono e si ritrovano!