Ecco il mio abbandono, lasciato nelle mani frementi dell'abisso,
a cercare di catturare un po' di luce che non arriva a confrtare il cuore
eternato dall'affanno perenne che mi tormenta
E sono l'unico che resta a piangere la foglia che si stacca
dall'albero in inverno.
Testimone involontario di uno sfacelo che invade la natura
che si nutre del dolore dei mortali per raggiungere
l'eternità del suo circolo immortale.
E mi incammino per le strade rischiarata dal sole tenue
di febbraio, celando nel cuore il presentimento osceno
della morte che non abbandona il finco del poeta che la canta
usando parole tenere e tremende: innamorato del suo volto
denudato dall'orrore.
E mi rapisce il sentimento allegro che anima che giunse
al limitare del suo tempo, mentre la caduta mi avvince
alla vertigine di uno squilibrio mentale che reclama
la chiarezza psicotica del saggio.
E risorgono le fole antiche accompagnate dlle immagini
felicici dell'epoca aurea ormai mutata dall'alchimia
divin nella durezza dell'età dove domina il metallo
vile della mortalità.
E sprofondo nel sonno lieto del tossico
ove assaporo la condizione estatica del nulla.
E mi possiede l'amore amamro della morte,
che mi guarda innamorata del mio cuore sfregiato
dal dolore.
E mi divora la pace istillata dalla dose di eroina
che immerge l'animo nell'evanescenza di un tramonto.
Fuori echeggiano le grida scomposte dei bambini
che felici corrono fuori dalla scuola.
Ed io rubo un po' d'amore da quella scena lieta
che divora il cuore con la sacra emozione dell'amore.
Poi mi chuiama l'amico che ha finito di preparare
la siringa, e con la canna stretta fra le labbbra
torturate dall'esercizioo quotidiana dei miei nervi
mi incammino verso la beatitudine del nulla
raccolta nell'involucro sottile della siringa
da insulina.
E preparo il braccio al pizzico felice dell'iniezione,
spingo lentamente verso il basso lo stantuffo,
e sprofondo nell'abbraccio paterno del non essere,
sospeso sul filo funambolico dell'incoscienza:
e finalmente posso dormire il sonno leteo
del veterano.