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La vena
Nello spazio aeternum
evanescente umidità
ammutoliva
d'opaco
esaltante colore.
D'in pieno si rivelò,
la chiara fragilità
del nitido.
Mia mente evaporò pensieri,
segreti taciuti
all'ombra del sole
radioso e faticoso.
Corporeità bolliva
al vapore
d'acqua e di schiuma;
nell'intanto, essi,
non dichiaravan
al nudo petto
l'intenti.
Autocosciente d'una fredda
doccia
di cogitazioni infernali.
Tacete! Tacete!
ammonivo
insistente
inquietata,
cercando di silenziare
l'intima lotta
nel profondo
d'acqua dolce.
Al principio prudente,
cauta,
presi come specchio argenteo,
la lama appoggiata,
e come corda
su violini,
passeggiai.
D'in tratto un brivido,
fu ferito
il tallone d'Achille;
d'in tratto una nota ghiacciata,
una perla rosso sangue
ed il mio argento sporco.
Uccisa la contemplazione.
Destata dal meditare,
differente visione
al destro tallone,
sangue fuorviante
cui non riuscivo
a badare
l'arresto.
Tremore alla destra mano,
qual chiedeva il perdono
pel compiuto atto,
qual chiedeva misericordia
ed Io non mi stavo
a sentire,
sentendomi
mancare.
D'arte la vena ribolle
a fuoco lento,
e lentamente il sangue,
bruciava nel candore
d'acqua calda
e di schiuma.
Da quel dì mia vena,
carezzata duramente
pianse pioggia,
lacrime ardor ferro.
Quel giorno piansi anch'Io.
Non riuscivo a
chiamarLa,
eppur invocandoLa,
sopprimendo buone volontà
di vivere.
Prospettai
obiettivi nobili,
come terminar Requiem,
indirizzar Letteratura,
giungere alla Deificazione;
e mi trovavo lì, col mio corpo
e l'assassino,
le rosse mani,
il biancastro candore,
onde di pulito
e il sapore del ferro
e lama accecata.
L'error più grossolano
fu d'intraprenderlo;
uccisi la mia vena,
ed il tallone
un pendolo di morte.
Piansi e chiusi l'occhi,
guardai Nitr,
m'immersi.
Così mi levai
dal lavarmi
nel bagno di sangue.
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