Nel silenzio atavico della campagna
s'ode un rintocco antico di campana.
Il suono prima flebile, poi fragoroso,
si va spegnendo e lascia un vuoto.
Tra poco si vedranno per la strada
intere famiglie rispondere al richiamo,
bambini riottosi tenuti per la mano,
nonne dal passo incerto e malsicuro,
uomini impettiti col vestito della festa.
Anche le cicale sembrano rispettare
il giorno del riposo, e non s'ode il frinire
incessante ed assillante dei giorni di lavoro.
Nei campi riarsi da troppi giorni
senza il ristoro consolante della pioggia
si vedon pomodori rossi già maturi,
altri ingialliti per il troppo sole
e altri ancora verdi della loro giovinezza.
Accatastate in un angolo giacciono
in attesa di essere riempite di oro rosso
cassette di legno sbrecciate dall'uso assiduo
e dal trascorrer sempre uguale delle estati.
Gli occhi si perdono a rimirar le spighe
di grano gialle che ondeggiano ad ogni
refolo di vento che arriva a mitigare la calura,
e già si pensa al pane caldo da sfornare.
Domeniche d'altri tempi e luoghi, eppure
le ho vissute con gli occhi e con il cuore,
e il ripensarle oggi lascia dentro un senso
di rimpianto e di inquietudine sottile
per quello che è stato e non ritornerà.
Oggi li sento i rintocchi di campane,
confusi con i suoni innaturali di città,
una moto che passa rombando nella strada,
macchine in coda al rosso dei semafori,
gente che corre verso i negozi aperti
per comprare anche nel giorno della festa,
e l'unico che mi fa ripensare al senso vero
della vita è un vecchio seduto su una panchina
che accarezza con amore il suo unico
inseparabile amico seduto accanto a lui,
un cane bianco e nero che agita la coda
ad ogni sua carezza e chiude gli occhi
per assaporarne meglio la dolcezza.