Nei lontani giardini di periferia un forte grido
nero si espande nella notte, troppo limitrofo
per essere udito si calma nel vuoto, come
tante gocce si spengono e si confondo
in una infinita distesa d’acqua.
La mia forza d’animo sembra essersi
spenta, sprofondata come corpo pesante
negli abissi oscuri; in quelle tetre ore
notturne, la mia dignità è stata calpestata,
il mio corpo usurato lascivamente da foschi
corpi umani, hanno riempito il mio sguardo
di sola paura e fatto seccare il mio cuore.
Mi sento perduta, il dolore come un immensa
nube tossica mi avvolge e mi soffoca,
incapace di muovermi decido di rimanermene distesa,
come le foglie auttunnali cadono dai propri
alberi e si adagiano sul suolo
contiguo ad essi.
Nascosta in un desolato vicolo, spoglia di tutto, mi
accosto al muro, ormai inondato di sole mie lacrime,
mi soffermo e rifletto, ancora una volta il ricordo
di quelle freddi e avulse mani percorrono il mio
corpo e l’icubo sembra così ricominciare.
Scossa e smarrita in un pianto convulso, udisco
ancora una volta i laceranti colpi, che come tamburi,
battono sulla mia pelle ed il rumore dei vestiti strappati
di dosso mi fanno sprofondare in un
mare di vergogna;
Dinanzi a questa gigante e umida barriera di pietra mi curvo
su me stessa, ne più mai! seguiterò a condurre una vita normale,
perché finchè perdi la dignità di essere una donna,
una cretura celeste e unica nella sua forma è difficile
che si possa senza ali, riprendere
il volo verso la volta celeste.