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Fronde
Stanco in mia giunta inevitabil vecchiezza, siedo sul mio usato e morbido scanno,
sotto il mio umile, ma decoroso tetto a ponente rivolto, là dove muore il sole;
e posando lo sguardo sulle vecchie e devote fronde a me di fronte e allo zefiro frementi,
sono spettator attento e malinconico dell'irrefrenabil fuggir del tempo.
Di molte cose del passato tempo queste arboree ombre ora mi parlano;
quando la mia vita ancor mi sorrideva e m'illudeva di mille cose,
e m'incantava con le sue lusinghe vaghe, che m'allietavano il cuor.
Questi arborei monumenti mi rimembrano anche i giorni più tristi, gli affanni,
gl'inganni estremi; le grandi tragedie vissute, che ancor soffrire mi fan; e mesto.
Hai! Quanto possono essere amare le ricordanze e quanto acerbo il fiele.
Lo stormir del vento in questa verde famiglia fa volare il suono, che dolce m'arriva;
come un canto d'amara dolcezza, che sentii tanti anni fa quand'ero bambino;
sento la voce del mio caro e buon padre, quella dell'adorata madre e della soave zia materna
con i quali convivevo; odo il loro riso frequente; le dolci raccomandazioni quando m'assentavo;
la loro gioia d'avermi vicino; la buona notte e il gioioso risveglio... E scomparvero.
È forse solo un sogno il passato tempo? È un'illusione la loro passata esistenza?
E la mia profonda solitudine? Vagheggio la loro fuggita presenza?
Tutto è confuso nella mente mia, ma le fronde amiche ed immobili non mentono;
rimembrano e ripetono tutto il fuggito tempo, anche se la mia ragion s'invola.
Siedono sempre custodi del mio continuo divenire, là nel morbido tappeto erboso;
e dall'infuriar dè nembi e dai cocenti rai estivi mi fanno schermo,
giovandomi di freschezza, consolazione e dolci effluvi, l'aere impregnando.
La sera, quando il sol rosseggia ad occidente, mi par d'intraveder i loro dolci volti,
avvolti in purpureo velo e appena significanti, che mi fan sospirar.
M'assopisco pensando al perché dell'esistenza umana e dell'altre specie vive;
Perché tanti dolor e a qual ultimo scopo tende la nostra fugace vita?
Forse una divinità suprema e clemente accoglierà il nostro spirito in un remoto e dolce albergo
pieno di luce, di musica soave, di pace e serenità come ardentemente bramo;
o forse un orrido abisso ci avvolgerà e c'inghiottirà per l'eternità.
Così meco ragiono, finché il sonno mi avvolge e il tutto oblìo.
Al mio risveglio è buio e tutte le forme sono ombre vaghe che percepisco appena;
le fronde parlano ancora quando il vento appena le sfiora, ma il loro canto è indistinto e tenue.
I monumentali pini sono un pio albergo per le aeree specie che, silenziose, attendono il nuovo sole;
poi tutto sprofonda nell'oscurità della notte e solo le pie stelle tremano lassù nell'infinito.
Esse rappresentano l'anime dei nostri avi, che dall'oscura volta rallegrano la nostra esistenza.
Forse morendo diventeremo stelle e, clementi, l'umana specie consoleremo.
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