Godo nel rimirar dall'alto
di colline ubertose e cariche
di ulivi, viti e fichi,
la piana dove di giorno
ferve l'opera dell'uomo
e di notte, al luccichio
di luci tremolanti e fioche
s'immagina il tepore delle case.
E quel mare, che da qui
sempre calmo appare
e col suo intenso azzurro
fa sognare lontane isole
e terre sconosciute ove
genti di ogni colore e razza
trascinano vite spesso dolorose,
si colora al tramonto del rosso
infuocato del sole calante
che lascia presagire
il sorgere di un nuovo giorno
carico di colori accesi e cieli tersi.
E se mi addentro negli antichi vicoli
dove case sbrecciate dal tempo
e invase da erbe e piante
fanno ritornar la mente
al tempo in cui bestie ed uomini
vivevano insieme in stanze
annerite dal fumo del camino,
mi sembra quasi di sentir le voci
di madri che chiamano i figlioli
o i passi stanchi di uomini
coi loro asini carichi
dei prodotti della terra.
Più non s'ode il ticchettio
quasi musicale del
ciabattino che ripara scarpe
o il rumore sordo dell'incudine
su cui il maniscalco forgiava
i suoi ferri per cavalli e muli;
più non ci son sugli usci
sarte con gli aghi a cucir vestiti
o le voci di venditori d'ogni cosa
che cercan di convincerti a comprare.
In paese, adesso come sempre,
uomini ai tavoli dei bar
a litigar per un asso o una figura
e donne affaccendate a pulire
mentre parlan con le vicine
dei bei tempi andati
quando sguardi bramosi
facevan trepidare i loro cuori.
Ma è il mio paese, è la mia gente,
dai quali la vita mi aveva allontanato
e che adesso riscopro in ogni luogo,
in ogni volto, in ogni gesto,
in ogni frase di una lingua
a me assai cara che giammai
avrei potuto lasciare nell'oblio.