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Tra i gladioli di luglio
La frattura insanabile, una miccia che esplode
e il cielo rosso. Le malattie dei poeti
non sono debellabili, ineffabili perfino
sulle bianche epidermidi di fogli sbranati
dai nuovi venti dei tempi.
I tuoi occhi sono templi, fuggitivi l'empietà.
Di notte non si dorme, per la verità
si trova riposo nel cedere all'oscurità.
Quando la poesia m'assale il pensiero,
tutte le coordinate dello spazio
si confondono dolcemente ed intensamente,
come un forte profumo che tanto m'inebria
fino a darmi alla testa.
La scrittura più autentica s'avvolge il buio.
Intanto vedo le stelle ingrandirsi ed
immensamente
pervadere la vista.
Astolfo non riesce a trovare
il mio senno perduto,
smarrendosi ed esaurendosi anch'esso,
nello spazio siderale.
Mai il piede toccherà la superficie lunare.
Molte volte si crede di essere visionari,
e mi cullo di certi pensieri
e dei versi di Rimbaud
e dell'occhio del figlio di Giove,
che non ritrovo più
tra i gladioli di luglio,
immersi d'atmosfera di lune estive.
Devo ammetterlo, ho bisogno
di rivelarlo: ho sempre trasfigurato
tutti i miei sentimenti, gli impulsi, le passioni,
tutto il mio cuore nella poesia. Esageravo
l'amato, sì, forse però era l'unico modo
di giustificare i miei occhi abbagliati.
La verità è che nella mia mente sarai
per sempre
quei punti luminosi che schiarano le notti
di luglio. Non potrei immaginarti
nelle foschie di novembre, no, lo so
che non hai mai incrociato i miei occhi
annebbiati,
perchè soltanto lo strappo di un mio sorriso
estivo,
sarebbe finora la mia scarsa immagine
nella tua memoria.
La verità è che m'incanto ad inventarti
tra i variopinti gladioli, perduto e
trasognante.
Ed io a cercarti invano.
Proprio in ciò consiste il gusto
d'ogni forma di ricerca.
Il figlio di Giove
mi aveva detto di non lottare
per l'umanità, che tutto quello che
pensavo non si poteva provare.
Allora adesso sì, che la mia realtà
m'appare indimostrabile come
l'intangibilità nei sogni.
Una volta non sarà una volta.
Affaticarsi sull'uscio
e pregare fatale incontro,
morire abbattendo dipinti muri
d'azzurri cieli e verdi credi.
Li vedi? Oh miei sogni, veli trasparenti
possibili realtà,
e tu non mi credi e sfumi.
Nelle tempeste non si ravvedono
i nostri cari, men che meno
si cura il nostro corpo scalfito
dai segni della prepotenza umana e non;
dunque, l'alternativa è l'Universo, perchè
mentre si gode della luce stellare,
il buio è lo spazio donde come esuli
miriamo all'altro.
M'accorgo nell'istante d'adesso:
Nitr come all'occhio di Giove,
affini proteste e solitudini
somiglianti.
Nitr, l'Ascensione è quando
telepatici occhi, comunicandosi virtù e
nobili idee, è come se facessero dipartire
il proprio corpo fisico, facendolo divagare
come in un sogno.
Ed invero è viaggio astrale, aldilà
del limite del reale.
Guardo, da Giove sospetta
la mia malattia: paranoia
accecante e che mi blinda,
da quel che vede di lontano da me.
Le catene dell'essere umano sono
nella mente, è vero, ma
quando guardo l'industria soffocare
ogni passionale libero arbitrio, sottilmente
cercare di svoltare a proprio tornaconto
il corso e il volere dei veri artisti,
facile arrivare all'infelice conclusione
della moneta e della casta come
seduttrici ignobili, alle quali la Poesia
non s'inginocchierà. Aspetterò soltanto
i tuoi occhi consiglieri, e poi navigare
le profondità celesti
inabissandoci esplorando.
Incapace di testare quell'amare
che è il più nobile e potente.
Il figlio di Giove, ben inteso, che
io dianzi al suo sguardo ripiego basse
le ciglia e nel contempo assorbo l'asfalto,
ben sapendo di sprofondare senza soluzione
e fine.
Registro l'intensi attimi della mia caduta,
impotente alla forza di gravità
scivolo il corpo sul cemento e t'osservo,
da lontano ci analizziamo.
Scorreva forte l'ardore
d'un sentimento alla potenza e
che non penso di nominare
Amore.
Oh, tra i gladioli di luglio
mi ricopro fino a confondermi e
colorarmi di flora,
mentre sfumi, decadendo
come qual cosa d'evanescente
nella notte,
e che è dimora e rifugio del tuo corpo
e dei tuoi pensieri puntati
al Cosmo e le costellazioni dintorno
la Luna ed oltre.
Il figlio di Giove, ah!
Tale Dioscuro! Ei mirava
le stelle e i pianeti e le comete
per l'eterno amore all'astronomia;
guai se qualcosa si facesse
d'ostacolo od intralcio alla sua Ricerca.
Il figlio di Giove mi salutò, una sera
di luglio sotto una mite Luna,
quasi pareva scaldare,
e sebbene io non vidi nessuna stella,
la scia del suo sguardo
implose l'oscurità del suo bagliore
come la coda di una rara cometa
a traversare il soffitto del cielo.
La scia d'una cometa il suo passaggio,
portatore di sapienza extraterrestre
il suo volto m'esprimeva, quando
parallele nostre pupille si legarono,
istantaneamente e di fili
invisibili.
Il figlio di Giove
non è nessun altro
oltre ad essere il Nitr
più saggio ed oscuro e
più solo, più solo, soliloqui
scrivendo su fogli di carta:
la creazione di mondi paralleli.
Il figlio di Giove, una sera di luglio
mi salutò, nell'iride
incidendomi la sua scienza
iniettata di lettere e magia,
una Poesia.
Scintille di conoscenza
distruttrice le serpi della convenzione
i suoi occhi come templi d'Artemide.
Scrivere a pezzi, cura momentanea,
scrivere per sempre è creare altri tempi,
trascurando spazio e tempo di partenza;
oh Giove! Tuo figlio dispera ciò che vive
qui sulla Terra,
e poi lo vedo leggere le righe dell'Universo
e i percorsi delle stelle cadenti,
e poi mi metto a leggere
iddentro i suoi templi.
Scintille di conoscenza
m'esplodono nell'occhi.
E mi salutò immobile
una sera di luglio,
e per com'ero felice
manti di giorni a distendersi
paiono che vadano,
allungando la distanza
tra me e il saluto di una sera
di luglio.
Oh Nitr, lo vedi?
Io e il figlio di Giove
siam le macerie di battelli ebbri,
desolati al sole, idratando l'afa,
eccedendo nei pensieri d'Arte
e di morte.
Oh Zefiro che spiri da Ponente
e che scombini l'indolenti nubi,
alitami sul volto risecco dai geli
e calzami d'ali, sicchè io sorvoli
adombrando di beltà, l'eterico volto
del figlio di Giove.
Ei è come il vento dell'Ovest,
come brezza sulle mie onde
nere e sottili, ed ad incresparsi
ai suoi sospiri primaverili.
Oh Zefiro che spiri da Ponente,
pettini e spettini verdi campi,
coinvolgi e sconvolgi il mio stato;
cingimi il corpo d'una ghirlanda di fiori,
oh vento d'estasi!
Oh Zefiro, con i tuoi sibili e fruscii,
sovente e potente mi ricordi
l'alati piedi del figlio di Giove.
Sono come Flora quando passeggio
tra i variopinti gladioli
all'incosciente Ricerca d'una meta,
Zefiro! Spingimi nell'atmosfera
più alta ed incontaminata del mondo,
sicchè io sorvoli finalmente
i campi d'arcobaleno, e possa
trasfondermi nell'orbita
del figlio di Giove.
Ricolma d'un sentimento
inesprimibile se non esperibile,
quando come un battello ebbro
vagavo per le verdi strade
cogliendo i miei fiori del male,
e che in quel tempo erano Vita,
odoranti della gioia di sentirsi
venerare dall'estate.
Il figlio di Giove è come Ponente,
ei venne a cingermi il corpo di flora,
oh, come ascoltavo fluirmi il sangue
per tutto il corpo quel giorno,
iddentro quel tramonto estivo
ero come Flora e lui come Zeffiro.
Tra i variopinti gladioli, oscillante
immersa nella natura immensa, io
chiudendo gli occhi, m'accesi in mente
il dipinto di Bouguereau, oh sospesa
Primavera!
Tra i variopinti gladioli, seduta
immersa nella natura immensa, io
gustandomi il corso del tempo, guardando
la morte del giorno, speravo gioiosa
l'alato figlio di Giove, cingendomi
la fronte, e il corpo tutto
delle spade dei fiori.
Tra i variopinti gladioli
la mia visione è un dipinto sereno,
ahi! L'estate non m'era apparsa
così cara fra tutte le trascorse stagioni,
ed i passi gioviani come rugiadosi
petali umidi per la frescura,
cadevano a terra quando il capo
mi scuotevo all'aria celeste.
I templi del figlio di Giove
come bagliori splendenti
nelle mie oscurità inaccesse,
il risveglio del mondo e la danza
d'ogni pulviscolo vivente, lo so,
tutto stava alla legge dell'innamoramento.
Camminavo e dentro me tutto ruotava,
la primavera interna, il quadro di Flora e Zefiro,
tutto specchiava qualcosa di ultraterreno,
paradisiaco e fuori del tempo terrestre,
la sensazione di vivere dentro un'Arte,
questo fu l'innamoramento e l'incontro
con il figlio di Giove.
Un lampo, era fulmine lo sguardo,
un magnete, ed ora che scrivo
tutto aumenta e straripa
di meraviglioso.
L'estesa atmosfera dell'Aura
intensa e densa dei suoi pensieri
e turbolenti turbamenti,
ai miei sensi tutti, giunti
ai miei occhi, l'eterna pace
mi pregavano come i rosari
dei cristiani.
L'estesa atmosfera dell'Aura
ricordava l'eco di Giove,
il bel pianeta temperante e
che ai suoi figli dona
perseveranza e carità.
Oh Nitr, perditi lungo sentieri
dalle passioni sfocati,
d'energia accelera d'istinti
la fuga, cedendo i sensi
della ragione frenante.
M'accorgo, digerendo il presente:
tra i gladioli di luglio
coglievo i fiori del male
edulcorati d'evanescente gioia
e sentimento d'amore mesto.
I templi di Giove, il sorriso
del mio umore solare,
quasi l'umanità intera
purgata d'ogni peccato
di viltà alla conoscenza.
Una notte di luglio
un bagno di stelle come
navigli, traghetti dei miei occhi
d'oscurità arcaica,
stato primordiale di coscienze
connesse in Alta e altra
dimensione e sfera d'esistenza.
Di sinistra una quercia pigolante,
il tramonto avvolgente e che
s'andava piano e dolce esaurendosi sfumati colori
rossastro e rosa cenere;
così me ne andavo, seminando
i fiori del male, accelerando
i battiti del cuore
involontario.
Ei guarda fiso
il mio dolore postmoderno; ed
è quest'età dimezzante, sbrigativa
amante del nuovo, qui,
si scorre monotono
il laccio quotidiano
tutto inquadrato
dentro piano cartesiano,
e come parallele continuare
dritti ed avanti,
ed un sorriso precario
per un saluto spicciolo,
oh! Figlio di Giove!
Non compatirmi il mio bene,
chè io ti scongiuro un sorriso
alle stelle vegliare,
il mio stelo innalzare
al Sole che discende
e mi saluta come te, ah,
come risogno buchi neri
donde immergersi da Oriente,
donde il figlio di Giove
di pace assorbito
miravami assorto, sicché
tutti l'atomi armonici e
nuove materie a crearsi.
irminJuppiter, così saggio
e guerriero creasti tuo figlio,
sì valoroso di fronte ai miei versi
spogli ed umidi d'umiltà;
irminJuppiter, così amante
della Scienza creasti tuo figlio,
sì che la mia Arte di fronte
lo sguardo suo intenso, odi ed
elogi partorisce nelle notti
che s'accendono, spegnendo
i giorni riempiti dall'altri.
I templi del figlio di Giove
pregano il buio
alle stelle rivedere,
e tu sfumi i pensieri,
annebbiando di fumo
tuoi bagliori splendenti
e fuggitivi:
comete profetiche.
Tra i gladioli di luglio
la nota verdiana commuoveva
giardini germoglianti, così
tutt'intorno, soave una musica
unisona s'adagiava coll'anima
a ballare, riflettendo
la legge dell'ottava e
geometria sacra.
Adesso questa nebbia storpiante
le corde vocali, piana e lenta
inumidisce gli occhi di Giove,
e così, solennemente la mente
s'attorciglia com'edera
sull'unico pensiero,
sostrato di tutt'altri e passionali
cogitamenti guerrieri intestini.
Inesauriente nostalgia come
il canto dei grilli e
le ventole accese,
come ben affluisco ai ricordi!
Quando Zefiro posava l'ale
e sincero l'angelico sguardo
s'incastrava silente sul mio,
ah! Quant'è nivea la pelle
del figlio di Giove, e
come ben s'accorda al cielo
che tiepido, tingevan porpora,
eppoi a macchiarsi di blu,
ed io che andava a macchiarmi
del nettare delle margherite, ah!
E nell'occhio gioviano i fiori del male.
Tra i variopinti gladioli
l'ardore delle sue movenze come
la mistica della rosa,
branchi di pensieri eretici
e solitudini d'eremita, oh,
me ne andrò sui Colli, il nido
e l'esilio, la natura
e la morte.
Il figlio di Giove è come Ponente
e le mie onde nere carezza,
e fra i suoi rastrelli d'aria
ricompone e decompone
i verdi quadrati ove mi slego
dell'altro.
Tra i gladioli di luglio come
dentro e veloce bolla del tempo
io colgo l'evolute sfere dell'esistenza;
tutto così m'appare mescolanza
d'azzurro e di rosa cenere e
metafisiche voci domandarci che cos'è
l'essere o non essere
iddentro un sogno, cos'altro?
Esiste un confine spaziale in mente
razionatore di valori, e quest'ultimi
d'aggiungere agli altri.
I templi del figlio di Giove,
l'assedio, le barricate, la piazza
e la festa del lavoratore
scioperante ed ululante,
e s'ei fosse capo chinato
avrei ascoltato l'indegno belato
un misero urlo velato,
strappato,
tappato,
innato e perito
sotterraneo.
Il vero vandalismo
ha bruciato la bellezza
della piazza;
ma quale nove maggio
a coroncine di stelle su sfondi blu,
quando la maggior parte degl'occhi
s'ingrandiranno le pupille al rosso
di sangue e di fiamme
e di rivoluzione?
I templi del figlio di Giove
scorrono sui cavi di luce
come risposte elettriche e magnetiche
e piromani d'imminenza,
sapienti d'inizio e di fine
ed eroici come vecchi canti
dei più antichi carmi germanici.
Zefiro strascica il nuovo
ed il poeta è suo testimone,
esso vegge come profeta
d'encomi e d'eresie,
aspira di tutt'eterno, di mandala fuggente,
poi a specchiarsi dinanzi il senso
del nichilismo più dolorifico.
Oh! Quante stagioni a pesare le ragioni,
vedendomi l'occhi concavi
come l'immobile immagine
del figlio di Giove
dai contorni netti e decisi.
Zefiro strascica il nuovo
varco, tiepida fessura,
per la gloriosa Età dell'Acquario
che non rinvedo
nei libri scienziati adulati;
Nitr, ricordi l'assedio,
le barricate, la piazza a scalpitare?
Fors'era il vomito rosso
contro il muro dei neoliberisti,
allora, avanti! Corriamo per le rue
disperse negli occhi di me e di
te e di Marte.
Nitr, ricordi le bandiere
involate al cielo refrattario
a piovere?
Forse anch'egli desisteva
dall'ubbidienza della natura
e di sue meccaniche passive.
Tra i gladioli di luglio,
Zefiro custode idee più nobili come
germi di società aperte
sotto la forza della libertà;
sì cara Libertà, è ciò che mi fai d'umano.
I templi del figlio di Giove
come stelle vigorose nelle miopi nottate
s'appartano dietro ramoscelli
d'alberi di cui non conosco
il nome e la loro portata.
I templi del figlio di Giove
mi scoprono quando leggo
pagine qua e là di filosofia inconsiderata
come macchina per la verità più grande.
I templi del figlio di Giove
leggono un nuovo sistema solare,
quand'è che m'immergo nei mari
di Bergson, fino arrivare ai sette nuovi pianeti
che la scienza attesta in periferia
della grande stella nana
ultrarossa.
La frattura insanabile, una miccia che esplode
e il cielo rosso,
come la passione crescente in rabbia,
come gli esausti zigomi di me e
di te, l'ideale della rivoluzione
sulla Terra e dell'Universo
come nuovo.
Tra i gladioli di luglio
la poesia è carro allegorico
del vento del divenire;
tra i gladioli di luglio
la poesia come cantante
del destino delle necessità,
aspiratrice al cuore dell'immutabile.
Tra i gladioli di luglio
Zefiro sfoglia nostr'onde nere,
rumore d'arnia cardiaco,
poi dopo aver bevuto il vespro,
di notte, oh Nitr,
gli occhi del figlio di Giove
come fari sul mare d'acqua salata,
lì! Le gocce d'elisir
della vita nova di Poesia.
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