Avrei preferito un'armonica
o un organo di Barberia,
e invece questa mattina mi son svegliato
che un trapano girava lontano.
Correva e fremeva senza un attimo di respiro,
ebbro di ricominciare.
Mentre io, estraneo al suo entusiasmo,
stavo lì, infastidito da tanta garrula vitalità.
Piangevo quei metafisici silenzi appena andati,
e quelle ore intense e brevi fra le mie quattro mura,
perso in quell'ozio dolce, lontano dal far niente,
ma così prossimo al sospeso tempo di stiliti e anacoreti,
e al pausare creativo del fare della mente
tanto amato dagli antichi.
Piangevo quella forzata e benvenuta clausura
divisa con la mia compagna, le poche voci amiche,
e quello sconosciuto io dentro di me.
Tanto che adesso, all'idea di riaprire quella porta
e uscire allo scoperto,
più che sollievo provo un vago sentimento
di turbato smarrimento,
se penso che là fuori c'è lei,
quella normale realtà vorace
in agguato dietro l'angolo,
col suo beffardo ghigno senza pace.
E allora dico a me stesso
quant'era meglio vivere in disparte
la mia sana e visionaria follia
prigioniero di questa gabbia d'oro
che si chiama fantasia.