C'è una sorta di respiro
che avviene quando siedo
a quel luogo a cui aspiro.
Cosa, come provo, non credo
si possa ben spiegare d'un tiro
cosa sento e cosa vedo;
le dita scorrere sulla neve
e sporgono tra loro scure vette
dissonanti, armonici, ottave
e sul lucido nero mi si riflette
mentre lo sguardo, gli occhi
van lungo cinque lineette.
I cori di cristalli percossi sono
voci alte e basse, van piano
van forte e benché le amassi,
riuscivano a mano a mano
il mio odio guadagnarsi
che a pensarci pare strano.
Le mani che s'inerpicano
sui cinque semitoni tetri
e le dita che incespicano
tra note e pause in esametri
e gli accenti che rimarcano,
le forche che van silenti.
Però ogni battuta è pregna
di dubbi, turbe, incertezze
tappe a cui la mente agogna
idee mai raffinate e solo grezze
e un sentore di scalogna
come una gelida brezza.
Alla fine, soffice, rallento
è arrivato l'ultimo momento,
forse un grande tormento, ma
l'ho portato a compimento.