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la madre
Nella buia cucina, accaldata
il volto ancor bello e pur gentile
trasudi lacrime appassionate
che tergi col biancore d'un mantile.
Già pensi alla tenue giovinezza
che gli affanni veloci portan via,
inesorabili, come la brezza
toglie dal cespo i fiori della clivia.
Poi, mentre il sole cala a ponente
l'angoscia ti coglie all'improvviso,
un presentimento ti tocca la fronte
e lesta t'involi, con passo deciso.
Un feral grido è giunto entro casa;
forse il pupo tuo s'è fatto male
là, sulla rossa piazza estesa,
ferito nel suo gioco abituale.
Ora il suo pianto ti chiama trafelata
corri fremente, affannosamente,
l'uggia ti avvinghia, esasperata,
cadi per terra, rovinosamente.
Ti rialzi destra. Sulla sua faccia guardi
quel refolo rosso che lento lento,
come braccio di lava che debordi,
dalla fronte gli scorre fino al mento.
T'ha vista, e forse per pudor virile
ha smesso il pianto disperato.
Di fronte a lui con sguardo febbrile
ti sei fermata come abbagliata.
Indi lentamente lo stupor cessa
e il crudele aspro dolor sovviene,
donde l'ardente pianto che s'appressa
con soave dolcezza lo contiene.
Il materno volto trasognato
guarda la ferita dolorante,
poi la tua man la sfiora delicata
come per guarirla immantinente.
Ora guardi con immensa tenerezza
il buon cucciol tuo imprevidente
versare una lacrima di tristezza
e guardarti col visino penitente.
L'improvviso desiderio ardente
di stringerlo al petto tuo materno
ti scorre come lava vien dal monte,
caldo come il sole dell'inverno.
Corri con slancio verso lui, l'abbracci
lo baci, lo coccoli, l'accarezzi
e il sorridente suo visin accucci
contro il tuo e di lacrime lo chiazzi
Quindi verso casa vi affrettate
il sangue sulla fronte tamponato;
lui salta e canticchia impertinente,
mentre lo guardi con amor veemente.
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