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La sibilla
Della sibilla nell’oscuro antro
pervenne un tempo una ragazza,
carina si, ma con qualcosa dentro
che il sen l’opprimeva, come corazza.
La vecchia sedea su annoso scranno,
antica nel suo nobile sembiante;
le spalle coperte da nero panno,
la mirava con sguardo penetrante.
Dolcemente, in quella grotta tetra
la strega l’esil braccio le toccò,
poi, mostrandole la nuda pietra,
con garbo, a sedersi l’invitò.
“Ben strano-disse poi con voce roca-
è che donzella soave e si avvenente
pervenga in quest’atroce speco
ad ascoltar la misera veggente.
Cosa ti turba, dolce ragazzina,
e come può aiutarti l’indovina?”
“Pena feral m’opprime il cuore
-mestamente rispose la brunetta-
che mi rende la vita incolore
e il respiro mi serra in una stretta.
Tante volte ho chiesto di morire
affinchè l’abietto dolor cessasse,
ma il mio vil destin è patire,
chè lo spegnermi non m’è concesso”
Ciò disse, triste e addolorata,
mentre la maga fissa la scrutava,
scuotendo la sua testa imbiancata
al par di chi qualcosa già captava.
“A te stessa hai chiesto la ragione
di cotal accorato turbamento
-fece la vecchia con preparazione-
ne senti tu alcun presentimento?”
“No, alma sibilla, niente conosco
-gemè la giovin con rassegnazione-
ogni giorno in tal dolor mi pasco
ed in me non ho più penetrazione.
Quassù fiduciosa son venuta
per riceverne qualche talismano,
una pozion, una bevanda che tramuta
questo patir in dolor più umano”
“Non esiste una simil medicina
-disse la vecchia con umile contegno-
ma dentro hai qualcosa, mia bambina,
che guarir ti potrà, seppur con pegno.
Qualcosa arcano, fai attenzione,
il qual ci reca aspro turbamento:
qualcun le chiama solo emozioni,
per altri è profondo sentimento”
Poco capiva la tenera fanciulla
mentre fissava la vecchia, sbalordita;
indi, avicinandosi all’esile garusa,
così continuò quella medusa:
“Le emozioni, cara bimba bella,
in te allignano ardentemente;
talvolta si dimostrano ribelli
e allora le rimuovi destramente.
Talor son rabbia, talora son dolore
un astio che ti rode dentro il cuore,
ed è cosi violento quest’afflato
che te ne sfugge il significato.
Ora contatta intero il tuo furore,
portalo fuori, senza timore,
guardalo fisso, coraggiosamente
seppur lo vedrai spaventevolmente.
Alla fine ne uscirai prostrata,
le forze avvertirai scemare,
poscia, più serena e rilassata,
sentirai quell’ansia in te calare.”
Così disse con molta veemenza,
mentre la misera attenta l’ascoltava,
avvertendo in tutta la sua essenza
salir qualcosa che la spaventava.
Era una collera, una terribil ira,
un pianto d’odio e di livore
un vento gelido che spira,
un ricordo d’ansia e di dolore.
E pianse, ininterrottamente pianse;
pianse ricordando quegl’istanti,
quei vissuti d’acre solitudine,
quei momenti di vita aberranti,
le ricompense d’ingratitudine.
Ricordò le dissimulate invidie,
l’amaro disappunto conseguente,
del suo animo tutte le perfidie
che mai avea attuato realmente;
e quando pervenne a lacrime di sangue,
stremata s’accasciò per terra, esangue.
Mentre la vecchia l’osservaa pietosa
stanca si sentì, ma fiduciosa;
sentì svanire qualche animosità
e sembro pervenirle una serenità;
per qualcuno che a lungo avea odiato
avvertì, incredula, amor ritovato,
e benchè dentro sentisse crudeltà
le sovvenne puranco una pietà.
Il volto avea intriso di mestizia,
ma or che l’eran note le sembianze
lei avvertì persino una letizia
e nel suo cuor pervenne la speranza.
A rialzarsi l’aiutò la maga,
lei l’abbraccio con tanto amore,
quindi uscì fuori a rimirar la plaga
e senti il sole riscaldarle il cuore.
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