Al tempo scampata,
scritta da un lato, stinta dall’altro,
a stento s’evince “Trattoria”.
L’insegna sbatte,
fatica per opporsi al vento.
Quinta della vecchia via,
tiene duro, parente del passato
sembra esiga un posto nel futuro.
Sbatacchia, stride e si dibatte,
mostra il rovescio che rimembra
oltre trattoria fui <Locanda>.
Imposte semichiuse, vetri rotti,
mi sembrava percepire nella via
il dì che fu e quello ch’era stato.
Schiamazzi, insulti, grida d’allegria:
per un momento ecco tanta gente
un avanzo di tempo lì fermato.
Profumate donnine col cliente
mercenarie di precari amori,
nel confuso viavai d’avventori.
Mischiar di carte, trillare di posate,
tra il puzzo di vivande riscaldate,
bestemmie e tuonar di buzzo
l’ingresso semichiuso spande.
Chi entra e chiede una bevanda,
chi ebbro di bianco e di piccante,
certo di sapersi grande, recita e canta.
Sulla soglia fa la chiacchierata
chi dell’ora passata in compagnia,
si vanta di non saper chi sia
colei che per una bicchierata
gli concesse tutta la nottata.
In una vecchia locanda trattoria
queste cose e molte altre ancora
svanendo mi passavano per mente, l
un rimpianto che non mi riguardava
ma che non m’ha lasciato indifferente.