L’ora del silenzio finalmente è giunta.
Le ombre si allungano sui muri.
Alla mia sedia riordino pensieri.
Tremuli bagliori accompagnano sospiri
e le parole ipogee, sedimentate nell’anima,
mi scorrono nel sangue,
divengono tumulto.
Allora nella mia penna qualcosa si muove dentro
e le dita scorrono come giumente al galoppo
sulla candida distesa del foglio.
Non è mutato nulla nel tempo:
io bambina mescolavo lacrime e inchiostro
per l’amore mai nato;
io donna intenta a domare i palpiti di un cuore bizzarro,
e il vento sferzante d’emozioni
come la bora a Trieste.
E le parole migrano come le rondini di marzo
su cieli candidi senza nemmeno una nube
e il tempo scorre,
non sosta neppure nella rugiada che stilla
tra i petali del rododendri
o nell’incanto dorato di un bacio d’amore.
Presto calerà il sipario della notte
sui giacinti appena schiusi;
già una sottile pioggia d’indaco
si posa lieve nel roseto.
Mi sento serena senza le maschere
che la vita mi fa indossare,
sotto le stelle sarò soltanto me stessa.