Da Bersenico sopra, e sino ai piani di Lò,
v'è un'antica strada che meglio conservar si può.
Dalla santella della febbre, sono visibili ed in parte sterrate,
delle grosse pietre del selciato, da due solchi ben marcate.
Quelle tracce infisse, dicono a noi comodi attuali,
che i nostri avi han mosso per secoli carri tirati da animali.
Quadrupedi erano, conserviamone memoria,
che han sempre sgobbato senza riconoscenza, tanto meno gloria.
Unico piacer del viver: avean le due palle,
per renderli più docili, gli tagliarono proprio quelle.
E quindi mansueti, si lasciavan soggiogare
ed il pesante carro, senza pensier, dovean tirare.
Su questa via campestre si fecero così il sangue amaro,
il pio bove, il brioso cavallo, il forte mulo ed il povero somaro.
Tutti gagliardi questi, allora motor viventi,
che dovean lavorare con la frusta e con i denti.
V'eran poi i conducenti: sudati, sporchi e malfatti,
urlavano da sembrare dei rustici monatti.
Poiché a quei tempi, la peste, colpiva di frequente,
qualche monatto in effetti, poteva esser presente.
Dall'alto scendevan legna, carbone, tegole e calce, foglie e fieno.
il tutto con gran fatica e stomaco mezzo pieno.
Questo ci dicono i lucidi sassi ed i solchi sul selciato,
ed il lavoro al par del sacrificio non va scordato.
Ricordiamo pure che da quegli scalmanati, che puzzavan più dei buoi,
ci piaccia o non ci piaccia, siamo discesi tutti noi.
Tuteliamo dunque quelle strade e quei percorsi,
perché dai quei sassi lisci ci parlan gli avi nostri.
E non solo quelli, se ci facciamo maggior caso
provandoci a guardare più in là del nostro naso.
In tutto il mondo, infatti, i carri hanno viaggiato
e come a Bione in iqualsiasi luogo, le pietre hanno lisciato.