Come la lunga altezza di una gru,
come gli slanci di un pino di montagna,
e fra i comignoli che svettano dai tetti,
in rifugi umidi di roccia porosa.
Fra i muschi intrisi.
Dentro un pianoforte fra le corde,
nel nido di un picchio. Come dentro me.
Mi permetterai ancora di scrivere a vanvera?
Senza il senso del ricevere e dare, con parole silenti e mute.
O si scioglierà un velo d’umana comprensione?
In un gesto di incommensurabile presenza.
Sperato senz’altro.
Ed è come sentire l’acqua scorrere sui capelli.
Inebriarsi di sensazioni inutili.
Vivere per sentire il soffio d’un fiato.
Morire per volontà divina assurda.
E quanto meno non sperato.
E continuo a vedere minuti, inutili, trapassarmi.
E poi ancora parole inutili, futili, discutibili.
E rancori muti, come lame roventi, incontrarmi.
Fra i giochi del capire,
fra i vuoti del comprendere.
Nelle crepe del sentire, solo il bene.
Con disarmanti gesti muti,
misurati a decadi di infiniti minuscoli.
E son significati lontani da te.
Dai tuoi pochi anni!
Ed io nel misurarmi, tengo il metro a cordella in una mano
E srotolo il filo dei miei pensieri buoni nell’altra.
E fra misure incerte e incerte unità di misura,
trovo ancora gioia e tristezza.
Impeto e rassegnazione.
Difficoltà e semplicità.
Distillo odio e amore..
Ora e adesso e per sempre,
e come ieri e oggi e domani,
se nel capire tutti questi righi,
troverai motivo di dimostrar cosa che,
dovrà da dentro nascerti:
il posto sai e in ogni dove sarò
nell’attesa eterna di un tuo segno.
Fuggi dal lontano e sverna nel mio cuccio:
perché oggi un uscio è aperto per te.
Ma se dovesse nascere il vento forte,
fra le pieghe crespe dell’acqua,
più nessun accesso, ti sarebbe concesso.
E credo che da dentro,
e sento che per tutto il tuo momento,
di sconforto ritorto a te,
rimarrà solo un vuoto lamento,
di cristallo, trasparentissimo.
Come forse già accadde.
E ti segnò.
Pensaci.