Nessuno ha strappato dalle tue ruvide mani
l’universo d’antichi ricordi, che dall’infanzia in avanti
incedono incessanti.
Le tue labbra divengono sorgente
dalle quali scorrono chiare le memorie.
Ti rivedi fanciulla.
Fiocco tra i capelli: unico vezzo d’una vita dura.
La strada verso la filanda,
il freddo che ti ghermiva tutta
il ghiaccio sul selciato,
la fretta del mattino.
Con semplicità ritrovi fiori abbaglianti di giardini antichi
nelle fantasie variopinte del grembiule;
fiori abbaglianti che ornavano il cortile
e riodi i canti dei giovani d’un tempo
che s’inventavano la vita con i loro canti,
tra le fatiche di ogni giorno.
Fragili zampilli stillavano dall’umile fontana:
gocce di malinconia per un gioco che ormai non si poteva più fare,
il tocco del campanile segnava le ore.
Guardavi in alto e correvi, ignara dello sguardo di chi già uomo
si dissetava della tua freschezza.
Fu per quest’uomo che immolasti le tue gioie,
a quest’uomo porgesti la tua purezza.
La sua immagine si ravviva,
s’illumina, nella foto là sul muro.
Tu nonna, che ora hai i capelli immacolati,
che trasudi saggezza dai tuoi pori,
non fermare la tua fiaba; io t’ascolto.
Un fiume di emozioni gorgoglia dal passato
e ti scorre il sangue delle fatiche, delle sofferenze
ma poi le gioie brillano come stelle
nei pleniluni del tuo sguardo.
Io, figlia di tua figlia, attendo alla foce del tuo viaggio
il carico d’oro che mi hai donato:
un mare d’amore che non può svanire con la tua vita.