Ho preso il treno Bari-Milano
e mi trovo seduto in compagnia
di una donnona sulla quarantina
armata di borsone della spesa.
Mi si rivolge con accento barese
in un italiano strascicato
da massaia di paese
che non ha studiato
"Andate spesso a Milano?"
mi chiede, e poi mi spiega
che lei si muove poco da Palese
dove abita, e comunque
non va quasi mai così lontano.
"Stavolta lo faccio per bisogno..."
sussurra con un filo di ritegno.
Io le sorrido
e do fondo al mio libro, al mio giornale.
Dormicchio un po', un po' sogno.
A Bologna
sale in carrozza una signora
e con marcato accento milanese
chiede spiegazioni al controllore:
"Perché è in ritardo?
Non hanno detto niente qui".
Entra e mi sorride gentilmente
cercando una presa di corrente
per il suo piccì.
Che milanese atipica, mi tratta
quasi come fossi un suo cliente.
Esco un momento per fare pipì.
Il tempo di uno sguardo,
della pronuncia d'una doppia consonante.
Torno e stupisco. Le donne
si abbracciano, si scambiano una foto
sorridono e... parlano straniero!
Hanno lo stesso accento
adesso, e in egual modo
esprimono un eguale sentimento.
Mi guardano e mi spiegano: "Noi due
fino ai vent'anni abbiam vissuto
nello stesso quartiere di Tirana".
Ed io mi siedo
nella mia nuova veste di straniero
in un cantuccio di scompartimento.
Ora si parlano di Bari e di Milano
l'una in barese, l'altra in milanese
per "integrare" me, un albanese
che vede realizzarsi finalmente
l'unitario sogno italiano.