Solitarie torri di marmo rosa, che sfidano i gelidi venti del dispotico avere,
e declamano storie di cuori senza maschera,
dai quali ancora zampilla la pura acqua di fonte del loro Essere più vero.
Arditi slanci di cavalli e di cavalieri scavalcano taciturni muri di pietre,
orfane ormai dei bagliori dell'alba,
per scoprire onde di prati appena abbozzati da una folle anarchia di tempere e di acquarelli.
Che fanno gli alfieri laggiù, con elmi di un grigio color prigione del cuore?
Solerti vegliano sulle polverose grate della ragione senza profumo,
erigono case senza giardini, e atterrano con l'oblio i loro aquiloni fanciulli.
Alteri re e regine, incorniciati in quadri ibernati da giochi di avere,
contano sul pallottoliere della loro vita albe e tramonti in bianco e nero,
e nascondono sogni, a loro banditi, con piedi nudi e cappellini di tela,
di correre leggeri, corteggiati dagli andirivieni di un sole focoso.
E, infine, ecco festosa una giostra di pedine in morbide tuniche, azzurre come il sereno,
a vegliare gioiose su misteriosi forzieri.
Oro, gioielli, monete?
No, solo il ricambio d'un paio d'ali per il dì di festa,
per assaggiar attimi profumati di libertà, al sapore di vaniglia e cannella.
Ma è un gioco o è la vita?