Guardalo bene dal basso,
dopo averlo puntato per ore,
dall’alto e per bene,
dopo avergli chiesto quando avesse avuto l’ultimo contatto
con l’acqua
e dopo avergli stretto la mano
con la premura di ricordarti
di sciacquarla.
Guarda il tuo paese fermo,
che richiama lo straniero con la tasca gonfia
e imbarca quello con la mano tesa
e si scusa con il mondo
per avere porte aperte quando i campi
chiedono muscoli economici.
Guarda il tuo bambino
e chiediti se realmente
lo lasceresti in balia del mondo.
Chiedigli il nome della sua terra,
il nome delle sue cose, della sua pelle, il nome della sua lingua,
la tradizione letteraria del suo popolo, le sue malattie veneree,
la sua cartella clinica, le sue infezioni, quanti anni ha,
i suoi viaggi, le sue preferenze sessuali,
la sua fedina penale, i suoi reati.
Ma chiedigli tutto questo quando ancora non sa parlare.
Poi fa lo stesso con il figlio del lavavetri
che ogni giorno incontri al semaforo,
o con quello che ti vende i fazzoletti
che per ogni evenienza ed occasione
avidamente conservi.
Chiedilo al figlio del mendicante
che incontri allo stesso angolo da mesi
e che ti guarda senza neanche più sorridere
perché ha male ai denti
per il freddo che preso.
Avrai una sola risposta: forse un pianto,
forse una smorfia di sorriso
forse il silenzio.
Insomma, nulla.