Tra i ghiacci della Polinesia francese
spingevo la canoa, frullando con le dita.
Volevo andare a nuoto ma il cielo era deserto,
gli uccelli si erano rifugiati nell’oceano.
Bisce plantigrade mi accompagnavano nel viaggio.
Mentre timidi virgulti di corallo grigio
banchettavano pigramente con ossa sparse nei cespugli,
apparivano, di rado, le proboscidi impigrite
di qualche elefante superstite ad espirare aria:
miti animali dalle grandi orecchie branchiate.
Approdai sull’isola rovesciata della leggenda;
radici di mangrovie graffiavano l’aria.
Sbucavano dalla spiaggia limacciosa e nera,
dove un torrentello sanguigno sfociava in mare.
Occorreva solo cercare ora, pazientemente,
l’essere dagli artigli lunghi e affilati,
dagli occhi infossati e la sporgente fronte.
Inseguendo le sue orme, utilizzando il fiuto,
l’avrei scovato il mio simile, l’avrei raggiunto.
L’avrei affrontata e ammazzata con le mie mani,
prima che potessimo riprodurci…
… per proteggere quel che restava della terra.