Per anni dieci più due lustri attesi
che Penelope terminata la sua tela
volgesse a me lo sguardo interessato.
Ciò mai accadde e più non spero.
Dimentico ormai anche del talamo
che tentai di sradicare con la forza
per quanto infisso fosse nella terra,
da Itaca ora ramingo lontano vago.
Desio nutrirmi dei fiori di loto pago
di mai più ricordar quel che mi colse
quando cedetti al cibo che il cuore sfama.
Così tremante a volte accolgo i cenni
che timidi mi pare di voler scorgere
di anime che han con me pari sventura.
Il mio cuor di viltà non vuol sembianza
seppur guarito è ancor grondante sangue
però tem'esso, messo a nudo dello scudo
l'incoccar di freccia che parimenti inganni
come l'esperta vita mia trascorsa insegna.
Alea ancor potrei ora stolido sfidare,
lanciare gli astragali sul desco della vita
e sortire il colpo d’Afrodite pria di morire.