Il sole sorge molle come un tuorlo sbattuto
un cielo grigio spadella due nuvole
fiato di angeli e bianconigli
assi di cuori e spavaldi re di picche.
Alice sta sul crepuscolo di un’alba
come un rossetto sbavato sul nascere mattutino di un colore pacchiano.
Corpo nudo e pallido appollaiato sulle sue pene insonni
come ombre Alice è solo una sottile la figura.
Gabbia di certezze, la mano senza peso chiude con una carezza
la porta e la incatena.
Due giri di chiave.
Alice guarda la caduca ombra di ciò che fu,
la lei ossuta nello specchio ovale vede l’altra deformata e grassa,
che ondeggia sfinita puzzando di sigarette e digiuni.
Un gruppo di topi corrono in tondo,
tribù di fogna
adulando il macabro far di lei cancrena.
La benda agli occhi è fantasia
un torrente di montagna,
una corona da regina,
un lungo velo bianco,
la sottile dama bianca che fugge dalla scacchiera.
Per l’ultima volta è sognare.
Sono livide le labbra, come viole d'inverno.
Una gazza ladra lascia cadere l’orecchino
e si mette a cucire con cura l'ultimo abito
garza opaca senza pieghe a lenire il dolore di quegli anni passati a sparire
piano, piano.
In un attimo, Alice insegna all’anima a star muta,
tra le scapole appuntite e il profumo dei girasoli
svevstendosi della vita come se non vi fosse altro modo per
continuare ad indossarla.