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Prim'ancora dell'inizio
Dice all’inizio era er caos,
come er rigirà der vino ne la botte.
Li prima a nasce,
l’amore, la tera, l’inferno, la tenebra e la notte.
La prima a comincià,
st’opera straordinaria,
fù prprio la notte
che fece la luce e l’aria.
La tera pe n’esse meno,
e avè quarcuno d’amare,
fece belleppresto er cielo e er mare.
Er mare se chiamava Ponto,
e de la madre le carezze così tante,
che fecero Euribia, Forco, Ceto, Nereo e Taumante.
Poi Gea, che c’aveva na passione,
pe li fii, è inutile che giri!
Se unì pe nu sbaja puro co Urano.
Pe dà vita all’Ecatonchiri.
E daje a cresce sta progenie.
Ma st’artri ereno proprio brutti,
perciò Urano come topi,
nascose sottotera li Ciclopi.
Alla madre, pe sto fatto,
je prudeveno le mani,
chiamò n’soccorso l’antri fii li Titani.
Capirai Crono ch’era fumantino,
vedenno Urano addormentato.
Co n’farcetto le palle jà staccato.
Mo capirai c’hanno da fa,
du cojoni ormai staccati, voi me dite?
Li nostri! Quelli de n’Dio,
l’Eirinni, li Giganti e Afrodite.
Intanto Crono, diventato re
e provetto castratore,
cominciò co la sorella
a fa l’amore.
Urano er padre scojonato,
je predisse che uno de li fii,
l’avrebbe spodestato.
Così lui pe nu sbajasse,
come Rea feniva na gravidanza,
li piava e li buttava ne la panza.
Fù allora che Rea,
c’ormai aspettava er sesto,
fece le valigie e se ne aniede,
n’Arcadia presto, presto.
Là nacque Zeus.
Crono, sgamata la situazione,
chiese a Rea er fio,
pe colazione.
Quella mise n’sasso drento,
no straccio ch’era lercio.
Quello che fece? Ingoio er sercio.
Zeus se fece grosso,
schioppo na guera che a vedella,
sarvognuno te verebbe la tremarella.
Robe che n’è pe noi umani,
se fece aiutà,
dall’Ecatonchiri,
omeni a cento mani.
A Crono fecero beve na pozione,
fatta da Meti l’Oceanina.
Così risputò li fii,
ner giro de na mattina.
Divenne na guera de seccessione.
Avanti er novo.
Via lo strappa cojone.
Crono co Atlante generale,
c’aveva er manico der pugnale.
Però puro Zeus nun stava messo male.
C’aveva l’appoggio,
de li Titani disertori.
Poi li centomani,
che menaveno pareveno tori.
Ma pe vince, questo,
studiò n’antra mossa.
Pe nun sbaja tirò fora,
li Ciclopi da la fossa.
Questi p’esse riconoscenti,
je diedero furmini, n’ermo,
e n’tridente.
Così armati arivarono alla vittoria,
e resto ariva doppo,
è n’antra storia.
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0 recensioni:
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- wow!!!! poesia epica dialettale!! gran bella idea
- Davvero Bella. Complimenti
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