La regina mia matrigna
ha intimato serafica e benigna
ai due boscaioli di corte
la mia condanna a morte:
che io sia messo in catene e senza protesta
condotto ad una radura nel fitto della foresta
e presso uno stagno fra le canne e le farfalle
e le lame di luce che penetrano al sottobosco,
inginocchiato, e di spalle
io sia trafitto, e mi s’immoli.
Così le piace, così ha proclamato l’araldo.
I due boscaioli
(giacche d’orbace e braghe di fustagno)
mi amano però e questa consegna
li strazia, è una disgrazia, e il reame
intero ora per loro
il luogo odioso e inconfessato
di un dovere che uno disdegna. Li conosco:
il primo è un semplice, e mi è fedele, e l’altro
mi è complice ma non è crudele
a sufficienza. È lo stallo.
Allora io senza soccorso altrui
libero con un cenno
i cani selvaggi e gentili che si accucciano
da sempre nel mio cuore
posato su un cuscino
rosso, al di là di un filo spinato:
e nella baraonda che ne segue
fa capolino il principe agognato
che cavalca il cavallo Mangiabiada
e nella guaina ha Elsacristallo
e per collega il Guardiacaccia.
Lui si piega e guardandomi fisso negli occhi
mi infligge la mia pena a fil di spada.
Non credo che ci sia più grande gioia
del tuo destino che ti abbraccia
(e poi una volta qui
una gioia così chi
la tiene a bada?).
[27062009]