era di pena quel girare lento il piede per terra
un cerchio che esiste imperfetto nel solco paziente
per non aver coraggio di alzare lo sguardo
e dire
la pena degli altri del mondo, di ciò che riconosco:
non un segreto che dia il gusto senza gusto dell’immortale
non ho capito nessuna ragione, non mi sentivo salvo
guardavo le pose accanto e la disperata pazienza
sotto lo stremato sorriso
ero un bambino affamato
con quella certa educazione
da non sapere come liberare
le mie iridi le tempie il petto
dal peso senza nome
del reale
lo sforzo immane, ricordo, mentre a tavola mia madre cucina senza sale
e mio padre prova a protestare, lo sforzo a cancellare
passandoci sopra e sopra, più volte
con una linea d’inchiostro che infine buca il foglio
il male del mondo
avevo bisogno d’un oggetto, cercavo una vittima
da sacrificare al mio pianto
non so dire quando avvenne che si girò la lente
che accettai asciutto in me, infine, la malinconia;
mi era dentro come un nuovo organo,
un ricordo falso, il mio unico senso
ancora adesso, che capisco, anche se tutto ride
io non appartengo a quel riso
e c’è sempre nei miei primi minuti del letto
tutta la tristezza del mondo