Ho imparato che privi d'esistenza si può vivere,
l'ho imparato da ombre di corpi umani
emersi da una scena di disperazione,
da un palcoscenico di morte
dove non s'è, ma li abbiamo veduti.
Ho imparato che si può vivere,
denudati e derubati,
senza la storia della tua terra,
senza le radici della tua famiglia,
senza alito di vento che increspi
le maree dei sogni.
Ho imparato che si può vivere
in un lercio saio a righe,
in un paio di spaiati sandali di legno,
in un vagone dove il consunto della morte
non frena la magia che esplode
in canto, in risa, in una preghiera
che è infusione di perdono e ringraziamento.
Ho imparato l'incanto
di una vita senza esistenza
che si affida ad un intimo Dio,
che non sa spiegarti perché
il tuo corpo è deriso e offeso,
perché hai abbandonato la tua casa,
perché anche i piccoli scheletri dei tuoi bambini
devono portare un corpo segnato
da chi volle che foste ombre.
Ho imparato da chi è vissuto senza esistere,
dimenticando di chiedersi perché,
dove, come, quando,
piegato ad una distrazione
piena di giorni senza tempo,
nella pigra assenza di luce,
senza accorgersi del buono e del cattivo,
che le larve poggiate sullo sfacelo,
s'imperniano su questa emulazione d'esistenza
per sfilare alle bocche chiuse
i Cantici dei Padri
e riprendere la Marcia
di un interrotto cammino verso il Segno