Ormai è solitaria la vigna che amasti
nel rito di parole cadute, come foglie morte, al suolo.
Solo ora pesano i silenzi
e le parole non dette volteggiano impazzite,
negli atri della memoria.
Passi titani risuonano tra i filari
ad infrangere cattedrali di reciproco egoismo;
a sconfiggere ombre di presenze mancate.
Muraglie, le parole taciute, i gesti incompiuti,
la carezza non data per eccesso di pudore.
Ma, troppo presto si compì per te la temuta profezia:
come tuono venuto da lontano
come folgore che si abbatte d'improvviso.
Ti prego, narrami ancora li cunti
della mia infanzia dorata:
donami ancora grappoli rossi, preziosi come rubini,
ai miei occhi di bambina.
Soltanto al crocevia
mi permettesti di prenderti la mano
e percorrere al tuo fianco l'ultimo tratto di vita,
sconvolgendo relazioni verticali
radicate nelle vene contadine.
E madre tua divenni,
terapie d'amore m'inventai,
per un lampo di luce nei tuoi occhi.
Tu, padre, la quercia abbattuta
che riscattasti abissi di silenzio
pronunciando, con l'anima alla gola,
con ritrovato amore, il nome mio.