La fabbrica
è l'ovile,
gli operai, le pecore,
dirigenti, i cani sciolti,
pastore è il padrone.
Sembra un quadretto
armonico, bucolico,
ma per brucare l'erba
dei pascoli, ogni dì
debbono, le pecore,
a lungo camminare,
(salire l'irta
è faticoso)
i cani, le controllano a distanza,
pronti all'azzanno
se qualcuna,
decide di non seguire
la via ordinata.
Brucare, sempre di più brucare,
brucare e non belare,
questo vuole il padrone,
dalle pecore.
È buono il pastore
da l'erba fresca,
non fa morir di fame
il gregge, gli agnelli,
ma tutti i giorni prende
alle pecore il latte,
fa i formaggi
e li vende,
ogni anno le tosa,
prende la loro lana.
È ricco il pastore.
E se qualche pecora
si ribella,
va a brucare
anche un fiore
insieme all'erba,
dopo averla morsa il cane,
arriva anche lui, il pastore.
La pecora sragiona,
-pensa lui-, non ha un cervello,
meglio toglierla
dal gregge,
condurla al macello.
Buono è il pastore,
la pecora deve solo
produrre
e ruminare,
ma sogna ogni notte
il lupo che salvi lei
ed azzanni il pastore.